Premessa:
Sono anni che vado in montagna, preso da una
passione che è cresciuta giorno dopo giorno e piano piano è diventata uno stile
di vita. Mi sarebbe piaciuto condividere le mie emozioni con mio padre, ma il
destino me l’ha portato via troppo presto. Lui era una persona moderna,
sicuramente sarebbe stato contento e avrebbe vissuto anche lui, tramite i miei
racconti e le mie foto, le stesse avventure. Ciò non significa che non si
preoccupasse, anzi! Però riusciva a comprendere con spirito giovanile, ciò che
facevamo noi figli. Mia madre era completamente diversa, vuoi perché aveva
avuto una vita di stenti e di problemi e vuoi perché era molto apprensiva e si
preoccupava di tutto. D’altronde le mamme sono fatte cosi. Lei per qualche anno
ha sofferto di questa mia passione. Ogni volta che andavo in montagna, stava in
ansia tutto il giorno e si calmava solo quando mi vedeva tornare. A volte neanche
glielo dicevo perché mi spiaceva che lei si preoccupasse cosi! Non le ho mai
raccontato tutto, le cose magari un pò rischiose, perché sapevo che fin quando
non tornavo, lei soffriva. Ricordo che quando andammo sul Monte Bianco, lei ne
fece una malattia!!! Solo quando mi vide tornare, si rilassò e il suo viso si
distese. La vedeva come una cosa troppo grande e pericolosa e sicuramente i
morti in montagna di quel periodo, non l’aiutavano a stare tranquilla,
nonostante le mie rassicurazioni. “Mamma, io sono uno spirito ribelle” le
dicevo, “non ti preoccupare che stiamo attenti e non ci mettiamo in pericolo”,
ma erano parole invano: i miei giorni di divertimento diventavano per lei
quelli di sofferenza. Solo negli ultimi tempi con l’aiuto di qualche foto e
video selezionati, ero riuscito a farle capire che non facevo cose pericolose e
a calmarla un po’. Poi anche lei è volata in cielo. Ogni volta che vado in
montagna, quando arrivo sulla vetta, alzo gli occhi al cielo e mando il mio
silenzioso saluto ai miei. Lassù dove il bianco della neve incontra l’azzurro
del cielo, li sento più vicini.
Prologo:
La mia esistenza è come le montagne russe, la vita è
un gioco forte e allucinante, la vita è lanciarsi con il paracadute, è
rischiare, è cadere e rialzarsi, è alpinismo, è voler raggiungere la vetta di
se stessi e ritrovarsi insoddisfatti e angosciati quando non ci si riesce.
(Paolo Coelho)
Amo la montagna in tutte le sue sfaccettature, i
suoi volti i suoi colori, ma ciò che mi prende, mi cattura come una seconda
pelle, è l’alpinismo invernale. I pendii, le creste, i canali ghiacciati, sono
per me qualcosa di irresistibile e quasi sublime. Fosse per me vorrei che in
montagna fosse inverno tutto l’anno. E’ da parecchio tempo che volevo fare
qualcosa di importante, lasciare un segno, aprire una via invernale e dedicarla
ai miei genitori. Alle due stelle che ogni sera brillano lassù nel cielo. E
finalmente l’occasione si è presentata.
Appuntamento alle 4 di mattina al solito posto con
il mio amico Massimo Gallo. Ci dovevano essere altre persone ma alla fine siamo
rimasti noi due. Il caldo inverno di quest’anno non ci lascia molte
alternative, ci sono pochi posti dove sperare di trovare qualcosa da salire con
neve decente. Ci dirigiamo verso Colle Impiso, destinazione il M. Pollino.
Decideremo poi se il versante nord o ovest. Le temperature sono calde, non ci
sono stati quegli sbalzi che permettono di trasformare la neve e poi
ghiacciarla, quindi procediamo mettendo in conto che può essere un’altra
giornata persa.
Arrivati ai Piani di Vacquarro, optiamo per la
parete nord. Forse oggi si esaudirà il
mio desiderio. C’è un canale che ha visto l’anno scorso un altro nostro
compagno d’avventure, Mimmo Ippolito, e se ci sono le condizioni, tenteremo di
salire quello.
Fino ai Piani di pollino il sentiero si percorre
bene, la neve è dura e non si fatica molto. Ai Piani arriviamo verso le 8,00,e
ciò che si mostra ai nostri occhi è uno spettacolo. Le cime più importanti sono
completamente coperte di neve e un infinito manto bianco copre tutta la distesa
che brilla al sole con milioni di luccichii. Vediamo lassù la parete e la guardiamo
col binocolo , sembra fattibile, bisogna solo vedere com’è la consistenza della neve. Già da giù si vede però che il salto (logico
punto di partenza) è scoperto e quindi
si deve aggirare. Man mano che saliamo la neve diventa molle, purtroppo la notte
non fa freddo e il sole è molto caldo e questa zona lo prende di buon’ora. Si
affossa ad ogni passo e contemporaneamente iniziano ad affossare anche le
nostre speranze. Inizio a sentirmi in tensione, oggi mi sento motivato, in
forma, ho voglia di salirlo questo canale. So che altrimenti ci vuole l’anno
prossimo e non me la sento di aspettare...è come se ne avessi bisogno ora. Lo
zaino è pesantissimo e dall’imbrago pende tutta l’attrezzatura. I nostri
movimenti producono tintinnii che da stamattina fanno da melodia ai nostri
passi. Un passo dopo l’altro, alternandoci a fare la traccia per dividere la
fatica ci avviciniamo mentre il sole, oltre ad arrossare i nostri volti, fa
scorrere il sudore ininterrottamente. E’ il 16 marzo…mi sembra di essere a giugno.
Finalmente arriviamo al salto, come previsto è
scoperto quasi totalmente. Una esile striscia di neve sale fino a sopra ma non
è dura e non regge sicuramente alle piccozze e ai ramponi. Peccato.. era
fattibile. Le fessure per proteggersi c’erano. Continuo a guardarlo e mi viene
la fantasia, la voglia di salirlo e sono li per li dal provare ma poi la
ragione prende il sopravvento e lo aggiriamo.
Ci prepariamo qua e ci leghiamo subito. Faremo un
tiro a testa, dato che litighiamo sempre. Parte Max e aggira sulla destra il
salto , procede per 30 metri e arriva all’imbocco vero e proprio della via dove
fa la prima sosta. Salgo subito dopo io, la neve qua è discreta anche perché
questo primo tratto è all’ombra e presto arrivo a mia volta alla sosta.
Parte di nuovo Max, l’attacco della via visto da
sotto sembrava agevole, invece la striscia di neve è su un traverso non facile
e in più la neve è da schifo. Da li non si passa. L’alternativa è un passaggio
su misto molto esposto, e anche pericoloso. Messe un paio di protezioni, Max
tenta ma non è facile, non si sente sicuro anche perché superando il passaggio
non si sa se la neve regge o no. Io alla sosta, mentre gli faccio sicura, vedo
la sua titubanza… il suo conflitto interiore. Dopo un po’ mi dice che non se la
sente, se voglio provare io sennò andiamo via.
Ci scambiamo il materiale e con timore e quasi paura mi avvicino al
passaggio. Non è semplice e c’è incognita del dopo. L’esposizione fa paura ma
quello che rende difficile la decisione è la consistenza della neve, anche
perché una volta dentro, puoi solo salire. Decido di tentare, mi sento in
forma, sento che è il mio giorno, che è la mia via. Saggio con le piccozze la
neve sperando di trovare qualche punto duro,
ma non ce ne sono. E’ un problema!! “ Come si passa”? A furia di tentare
ad un tratto trovo una fessura dove la mia piccozza con la punta va ad
incastrarsi. Provo a tirare e regge, Allora guardo il mio amico e dopo essermi
raccomandato mentalmente al Signore, mi
tiro su. Dentro a questa specie di camino la neve è schifosa, comunque salgo
per 4/5 metri coi sensi tutti all’erta e
la concentrazione al massimo, mentre sento il sudore freddo sulla schiena.
Trovo un punto dove potermi proteggere con un nut e finalmente inizio a
respirare di nuovo. Sono passato. Non so nemmeno io come ho fatto, ma sono
passato. Se guardo giù mi sento cedere le gambe. Faccio un piccolo traverso ed
entro nel canale vero e proprio, qua la situazione è leggermente migliore, la
neve è sempre inconsistente ma almeno ti permette di salire. Proseguo per un
20/25 metri e trovo una roccia dove poter fare sosta. Fatta la sosta mi
assicuro e con l’adrenalina a mille e il corpo che vibra, grido a Massimo che
può liberare tutto. Mi accorgo di avere la bocca secca, arsa. Devo bere. La
tensione un po’ si allenta e inizio a recuperare il mio compagno. Mentre supera
il passaggio iniziale, mi grida solo: “come hai fatto”?? “Non lo so”, gli
rispondo. Arrivato alla sosta Massimo sembra stremato, provato. Ci sono
giornate in cui ci si può mangiare il mondo e altre in cui ci si sente nulli.
Oggi è la sua giornata no. Gli dico di farsi il secondo tiro e mi risponde di
no, “non ce la faccio” mi dice “e poi
oggi è la tua giornata, è la tua via, continua tu”!!
Mi riprendo il materiale e parto per il terzo tiro,
finalmente posso guardarmi attorno, ammirare questo canale che è
particolarmente bello, una pendenza costante di 60° e uno scenario unico. Prima
ero talmente preso e concentrato che non ho nemmeno girato lo sguardo. Per un
po’ migliora anche la neve, infatti riesco a mettere anche un fittone. In ogni
caso ci sono possibilità di proteggersi e quindi salgo più rilassato. Da sotto
l’uscita sembrava abbastanza agevole quindi dentro di me inizio a pensare che è
quasi fatta. Arrivo ad un punto dove c’è da fare un traverso e poi imboccare la
strettoia finale. La neve è diventata di nuovo schifosa ma penso che ormai
siamo alla fine. Metto su un’altra protezione e guardo su e quello che vedo mi
fa venire i brividi. Il salto finale che da giù sembrava agevole, è invece un
muro di 4/ 5 metri verticali 80/85 ° di pendenza e sopra una cornice di un paio
di metri da superare. Se la neve fosse dura non mi preoccuperei, ma con queste
condizioni , come si passa? Guardo giù Massimo e scuoto la testa, lui mi
risponde che sono pazzo. E forse un po’ pazzo lo sono davvero anche perché non
vedo niente con cui potermi proteggere.
Un passaggio di misto, verticale, con neve da schifo, era proprio quello
che ci voleva alla fine. Mi viene in mente un detto delle mie parti: “la coda è
sempre la più brutta da scuoiare”!! Mi sento impotente, non ce la faccio. Provo
a saggiare con le piccozze ma la neve non tiene, viene giù. Sono qui dentro da
un quarto d’ora e inizio ad avere freddo, guardo Massimo alla sosta e anche lui
non è messo bene. Devo assolutamente trovare qualcosa per proteggermi. A furia di scavare nella neve, trovo per
fortuna una fessura al centro del salto e prova e riprova ci entra un friend.
Lo tiro più volte e sembra che tiene. E’ per me come un’iniezione di
ricostituente , di forza, di fiducia, di tutto. Rinvio e penso che se dovessi
cadere almeno non vado giù. Non so come, riesco a salire di un altro paio di
metri, in spaccata, un rampone nella neve fradicia e un altro su roccia. Vedo
una fessura in alto sulla mia sinistra e riesco dopo non pochi sforzi a mettere
un nut e a rinviare. Sembra che anche questo tiene. Forte di quest’altra
protezione riesco a salire un altro po’ e a trovare un piccolissimo ripiano
sulla roccia dove appoggio il piede sinistro e cerco di riprendere fiato. Sono
esausto ed in equilibrio precario. Il piede destro nella neve ogni po’ scivola
e le piccozze altrettanto. Guardo di nuovo il mio compagno e percepisco la
preoccupazione e la sua paura per me. Guardo su e non so come proseguire. Sono
in una situazione di stallo, non riesco ad andare avanti e non posso e nemmeno me la sento di tornare
indietro. Ed è qui che succede!! Che il mio spirito lascia il corpo. Sento la
mente che si svuota da tutto. Ci sono solo io e quei 2/3 metri da superare. C’è
solo un pensiero. Un ordine perentorio: DEVI ANDARE!!! VAI!!!!!. E il corpo che
non sento più il mio inizia a salire,
non so come non so perché. So solo che ci sono due braccia che cm dopo cm mi
tirano su. Sfondo la cornice, oramai i ramponi non so nemmeno dove appoggiano.
Vedo come in un film un braccio che cerca di piantare il più lontano possibile
la piccozza sul ciglio. Lontano nella mente c’è la percezione che se non tiene,
sono andato. Vedo il ginocchio che sale e l’altra piccozza che si pianta e mi
tira su…e mi ritrovo sdraiato nella neve!! I miei occhi vengono abbagliati dai
raggi del sole, sento un urlo e mi accorgo che sono io che sto gridando: SONO
FUORI…CE L’HO FATTA!!!! E urlo ancora
più forte.
Rimango sdraiato cosi nella neve, il sole mi
riscalda, sono come imbambolato, guardo l’azzurro del cielo e mi sento come se
fossi lo spettatore di me stesso. Mi richiama dal tepore un grido che proviene
da giù: è Massimo che urla: “Grande Ciuatu”!!
Trovo un provvidenziale masso dove fare sosta e
inizio a recuperare il mio compagno. Man mano che si avvicina lo sento che si
lamenta, ha le mani fredde. Arriva pian piano e sembra molto provato. Io
continuo il recupero, gli parlo, scherzo. Arrivato al salto si tira su con non
poche difficoltà e continua a chiedermi: Mi devi spiegare come hai fatto a
passare”? Finalmente è fuori anche lui, è esausto. Le sue mani al calore del
sole iniziano a fargli male , io sorrido, lo prendo in giro, ci battiamo il
cinque. Sono come sotto l’effetto di stupefacenti, sto vivendo questa cosa come se avessi appena
fatto una passeggiata e continuo ad avere la sensazione di essere distaccato,
di non essere me stesso. D’un tratto è come se rientrassi nel mio corpo, mi
ritrovo a singhiozzare con le braccia tese al cielo e come un fiume in piena,
le lacrime sgorgano fuori in un pianto liberatorio. Sento il mio compagno che
mi da pacche sulle spalle, sulla testa e mi abbraccia dicendomi cose che non
sento.
Rimango in questo modo per non so quanto tempo,
piano piano prendo coscienza di quello che ho fatto, CHE ABBIAMO FATTO e sempre
con gli occhi al cielo mando un saluto a Mamma e Papà. Sono riuscito nel mio
intento. Volevo dedicare loro qualcosa di importante e alla fine l’ho fatto.
Oggi è nata: “SALUTAMI LE STELLE”.
Epilogo:
Nessun giorno è uguale all’altro, ogni mattina porta
con sé un particolare miracolo, il proprio momento magico, nel quale i vecchi
universi vengono distrutti e si creano nuove stelle.
(P.Coelho)